Ne avevamo appena parlato, nucleare sì o nucleare no?
Oggi, alla luce di quanto accaduto in Giappone, la questione assume il carattere dell'urgenza. Quel che colpisce è che proprio il Giappone, uno dei Paesi più evoluti e all'avanguardia, sia la scena di una nuova grande emergenza nucleare.
Ieri a Fukushima è esplosa la struttura esterna di un reattore nucleare, portando il livello di radioattività mille volte sopra la norma al'interno della centrale nucleare, e otto volte sopra i livelli consentiti nell'area circostante, tanto che il governo ha ordinato l'evacuazione immediata delle popolazioni nel raggio dei dieci Km.
Il problema è che il surriscaldamento elevato dei reattori ha comportato il pericoloso innalzamento della pressione interna nel cuore del reattore. I tecnici sono impegnati in queste ore in una delicatissima operazione di fuoriuscita "controllata" di vapori radioattivi per cercare di normalizzare il livello della pressione che, oltre un certo limite, potrebbe provocare la temuta eplosione della struttura di contenimento.
Ma le radiazioni ci sono e colpiscono la popolazione.
A questo punto, è naturale chiedersi se anche l'Italia è pronta ad assumersi gli enormi rischi derivanti dal nucleare.
Giappone e Italia, Paesi speculari.
L'arcipelago nipponico e l'italica penisola hanno più di qualche tratto in comune: entrambi poveri di combustibili fossili, densamente popolati e ad elevato rischio sismico. La differenza sostanziale è che l'Italia ha detto no al nucleare mentre il Giappone ha circa una cinquantina di centrali atomiche attive. E se in Giappone ciò che ha portato morti e devastazioni è stato lo tsunami conseguente al sisma e non, dunque, l'onda d'urto del terremoto - 20mila volte più forte di quello registrato all'Aquila nel 2009 - è lecito domandarsi come in un Paese in cui case, ospedali e scuole si sbriciolano per un sisma "normale" si continui a perorare la causa del nucleare garantendo la costruzione di centrali atomiche perfettamente sicure.

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